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Sereni, l’estate della nostalgia

di Francesco Ricci

Non ci sono mai anni del tutto uguali, non ci sono mai stagioni del tutto identiche. Alcune estati, ad esempio, appaiono talmente belle, specie se recuperate attraverso il ricordo, da oscurare tante altre estati, che già sono state, che presto saranno. Spesso è l’incanto del tempo presente a renderci questo stesso tempo unico, infinitamente superiore ai giorni e ai mesi che già vivemmo, che già conoscemmo. Qualche volta, invece, è l’orrore del presente a indurci a volgerci indietro e a comprendere – mai con uguale chiarezza e convinzione – che tutto il bello ci è alle spalle, per sempre perduto, per sempre irrecuperabile. È proprio questa la condizione psicologica dell’io lirico nella poesia Italiano in Grecia di Vittorio Sereni, tratta dalla raccolta Diario d’Algeria (1947) e recante in calce l’indicazione cronologica “agosto 1942” e di luogo “Pireo”. Sereni, che allora si trovava in Grecia col proprio reparto militare intenzionato a raggiungere l’Africa del Nord, percepisce che il viaggio che dall’Italia lo ha condotto in Grecia, fino ad Atene, è molto più di un semplice trasferimento di uomini e di mezzi che si spiega e si comprende all’interno di una precisa strategia di guerra. Agli occhi del poeta, infatti, questo tragitto rappresenta l’uscita definitiva da una stagione della vita, ancora connotata dalla normalità del  quotidiano, dalla speranza, dalla possibilità di essere felici, dallo sporgersi con fiducia sul domani – sentimenti espressi ai versi 13-16: “o qualche rediviva tenerezza / di laghi di fronde dietro i passi / perduti” – a un’altra stagione, segnata dall’immobilità, dalla noia che sfianca (“vado a dannarmi a insabbiarmi”), dalla tristezza, dall’orrore (“le schiere dei bruti”). Ed è proprio la drammatica certezza di stare vivendo un’estate di dolore e barbarie a rendere più pungente la memoria delle estati trascorse a Luino, sulla sponda orientale del Lago Maggiore, che era rimasto a lungo per Sereni, anche dopo il suo trasferimento a Brescia e quello a Milano, il luogo delle vacanze. Una condizione interiore, questa, sospesa tra sofferenza e nostalgia, che la successiva e prolungata reclusione nei campi di prigionia del Marocco e dell’Algeria (dal 1943 al 1945) avrebbe ulteriormente acuito. 

Prima sera d’Atene, esteso addio

dei convogli che filano ai tuoi lembi

colmi di strazio nel lungo semibuio.

Come un cordoglio

ho lasciato l’estate sulle curve

e mare e deserto è il domani

senza più stagioni.

Europa Europa che mi guardi

scendere inerme e assorto in un mio

esile mito tra le schiere dei bruti,

sono un tuo figlio in fuga che non sa

nemico se non la propria tristezza

o qualche rediviva tenerezza

di laghi di fronde dietro i passi

perduti,

sono vestito di polvere e sole,

vado a dannarmi a insabbiarmi per anni.  

(Vittorio Sereni, Italiano in Grecia)

(28 agosto 2019)

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