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Cardarelli, l’estate senza limiti

di Francesco Ricci

In estate ci sono giornate nelle quali lo spazio pare dilatarsi e il tempo non avere confini. Sono le giornate dove il cielo non accoglie nessuna nube, ma solamente un sole caldo e luminoso, l’aria limpida non è spezzata da nessuna brezza, il silenzio si fa strada tra le dune marine e il cemento delle abitazioni. Albe d’ovatta e notti di insonnie e di pensieri delimitano il trascorrere delle ore, che mai appaiono agli uomini così lente come in questa stagione dell’anno. Vincenzo Cardarelli (1887-1959), poeta estremamente sensibile al succedersi e avvicendarsi dei mesi, in Estiva riesce nel miracolo di restituirci l’immagine di queste giornate. E lo fa ricorrendo a un lessico che si potrebbe definire di “sconfinamento”. A partire, infatti, dal memorabile incipit (“Distesa estate”), frequente risulta il ricorso a parole ed espressioni che esprimono l’idea di ampiezza, oltrepassamento del limite, vastità sconfinata: “felicità degli spazi”, “trabocca”, “estrema”, “enormi”, “vasti”, “distendere il tempo”, “di là dai confini”, “indugio eterno”.  L’estate è veramente il periodo dell’anno nel quale accade di fare esperienza di un tempo sospeso, fermo, immobile, che si pone agli antipodi del frenetico tempo consueto e che, proprio per questo sembrare negare il divenire, consente all’uomo, in certi momenti (stati) di grazia di prefigurarsi l’eternità. Cardarelli, però, resta un poeta classicista, che rinviene in Petrarca e in Leopardi i suoi punti di riferimento e nel rigore della misura e della forma il suo ideale di scrittura, secondo il programma esplicitato sulla rivista “La Ronda”, fondata a Roma nel 1919. Ecco allora che l’individuazione progressiva di alcuni degli elementi che meglio definiscono le lunghissime e vaste giornate d’estate è accompagnata costantemente da un’attenta opera di neutralizzazione, per mezzo della metrica, della sintassi, della punteggiatura, dei loro tratti estremi. Insomma, per Cardarelli anche di ciò che possiede le sembianze dell’illimitato occorre, in poesia, parlare con senso del limite. Così, ad esempio, il frequente ricorso all’uso della virgola in fondo al verso (sono ben otto), l’impiego dell’anafora (“stagione dei densi climi”, “stagione la meno dolente”, “stagione estrema”, “stagione che porti la luce”), la regolarità nella frequenza di alcuni sintagmi costituiti dal sostantivo e dall’aggettivo (“distesa estate”, “giorni identici”, “vasti sogni”, “riposi enormi”, “indugio eterno”), conferiscono compostezza e misura a questa lirica dedicata alla dismisura estiva.       

Distesa estate,

stagione dei densi climi

dei grandi mattini

dell’albe senza rumore – 

ci si risveglia come in un acquario – 

dei giorni identici, astrali,

stagione la meno dolente

d’oscuramento e di crisi,

felicità degli spazi,

nessuna promessa terrena

può dare pace al mio cuore

quanto la certezza di sole

che dal tuo cielo trabocca,

stagione estrema, che cadi

prostrata in riposi enormi,

dai oro ai più vasti sogni,

stagione che porti la luce

a distendere il tempo

di là dai confini del giorno,

e sembri mettere a volte

nell’ordine che procede

qualche cadenza dell’indugio eterno.  

(Vincenzo Cardarelli, Estiva)

(15 agosto 2019)

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