di Ingrid Atzei
Scrivere è un’arte magica, perché crea dei mondi. Mondi all’interno dei quali immergersi, dai quali farsi avvolgere, dentro i quali intrecciare amicizie o scoprire antipatie, dai quali farsi contagiare o, al contrario, da tenere ben distanti per non finirne risucchiati, che aprono scenari o relegano il quotidiano in canti chiusi, almeno temporaneamente. Mondi che c’insegnano altri mondi o che ci aiutano a conoscere meglio il nostro. La magia dello scrivere sta nel creare “immagini” da percepire con i sensi. Ma è attraverso la lettura che quei mondi prendono vita.
Quanto riusciamo a penetrarvi dipende dalla risonanza e dalla sintonia che suscitano alle nostre capacità sensoriali. Alle volte, è più semplice agganciarne la frequenza perché alcune letture hanno un’impalcatura “fiabesca” che rilassa e libera le nostre energie; le rende disponibili per l’incontro con i personaggi, i loro luoghi e i loro tempi. Questo accade, tuttavia, anche se si sta leggendo un saggio; non esistono limiti ma solo strade possibili, alle volte assolutamente inaspettate. Dunque, è prevedibile che una lettura ben allenata possa rappresentare per ciascuno di noi una sorta di palestra per affinare le nostre capacità percettive. Per questo, di seguito, vi proporrò una selezione di letture categorizzandole dal punto di vista sensoriale ed offrendovene degli esempi.
Partiamo con un volume dal carattere olistico che s’intitola Il giardino che cura, scritto da Cristina Borghi. Il sottotitolo del testo dice già tutto: Il contatto con la natura per ritrovare la salute e migliorare la qualità della vita. Nell’opera l’accento è posto sul giovamento che si trae dall’esperienza multisensoriale con gli healing gardens, esattamente i giardini che curano. Nelle parole dell’autrice:
il giardino […] Norfolk lo paragona a un dipinto: il progettista è il pittore, il suolo è la tela e gli alberi, gli arbusti e i fiori sono i colori. Ma il giardino della cura è ancora di più: acqua, luce, ombra, suoni, profumi completano il quadro.
E chi s’immerge può trarne grande giovamento sia fisico che mentale.
Passiamo, ora, all’udito. A tal proposito, c’è un volume che mi ha affascinata, questa volta un romanzo, rilassante come sa essere l’autrice che, pur non dimenticandosi mai degli altri sensi, in quest’opera fa ruotare l’intera narrazione sul canto. Sto parlando de La custode del miele e delle api scritto da Cristina Caboni. Leggete, per esempio, il frammento che segue:
«Io canto per loro, così mi riconoscono.» […] Le api avevano cominciato a posarsi su di lei […] in pochi istanti l’avevano ricoperta. Il professore non sapeva cosa fare […] Poi Angelica aveva sollevato una mano, un gesto, un’altra strofa cantata a bassa voce e le api si erano alzate in volo, tornando alle loro occupazioni. «Mio Dio, ma come ci sei riuscita?» Angelica aveva pensato di dirgli che era una custode, poi aveva cambiato idea. Non avrebbe capito. La gente capiva solo quello che conosceva.
Ovviamente, avrei potuto selezionare altri volumi che potessero rappresentare il senso dell’udito, diverse piece teatrali o un saggio come Il dono del silenzio del monaco buddhista Nhat Hanh Thich. Ma tutti non potendoli inserire, ho dovuto fare una scelta e, in questo caso, m’è piaciuto trovare condensata in poche righe un’idea di udito legato alla natura e pertanto, in qualche modo, atavico ed un udito legato alla razionalità che necessita di filtri adeguati, pena l’incomunicabilità. Nonostante si parli proprio d’udito!
Ora, mi piacerebbe parlarvi di un volume completamente incentrato sull’olfatto; sto parlando di La sua voce è profumo. Passeggiata letteraria tra aromi, odori e fragranze di Giovanna Zucconi. Il testo è una raccolta di citazioni tratte da opere nelle quali odori e profumi sono protagonisti. Tra i tantissimi spunti proposti c’è spazio sia per divertirsi che per le riflessioni, come in questo esempio:
«Socrate era contrario al profumo perché maschera la differenza tra liberi e schiavi. L’odore in tutte le sue gradazioni, dal tanfo corporeo alle fragranze più raffinate, non è soltanto una carta d’identità individuale: è anche un marcatore sociale».
Con un significato decisamente meno spregiativo e classista, ritroviamo il concetto di profumo come identità anche nel romanzo di Cristina Caboni Il sentiero dei profumi. Eccone un esempio:
«Ha un buon profumo.» […]
«Di cosa?» […]
«Sa di pioggia, di freddo, ma anche di sole. Di parole pensate, di lunghi silenzi e di riflessione. Sa di terra e di rose… Lei ha un cane ed è una persona gentile, che si ferma ad aiutare e che si addolora per ciò che ha dentro il cuore.»
Qui l’idea è meno ruvida, più raffinata e tenera, rispetto a quella esposta brutalmente da Socrate. Ma parliamo di due personaggi e di due epoche totalmente differenti tra loro.
A questo punto possiamo passare al senso del gusto. Immagino che per tanti di noi il pensiero corra subito alle petites madeleines rese famose da Proust ed inzuppate nella tisana al tiglio in Alla ricerca del tempo perduto o agli arancini siciliani graditi al Commissario Montalbano nato dalla penna del grande Andrea Camilleri. C’è poi una moltitudine di volumi incentrati sul gusto dal punto di vista economico, culturale, gastronomico, storico e regionale. Ricettari antichi e moderni con trucchi, esperimenti e spiegazioni dell’origine della tale o talaltra preparazione e del tale o talaltro nome con varianti annesse. Ma a me del senso del gusto piace proporvi un punto di vista diverso, quello del bacio.
Tempo fa acquistai un volume che s’intitola Il bacio – I più bei momenti d’amore nel cinema nell’arte e nella poesia di Birgit Krols. Si tratta di un volume che propone tutte le declinazioni possibili del bacio, tralasciando quelle specificamente letterarie, sebbene non manchino riferimenti; riporta, però, un brevissimo ed affascinante resoconto di Coco Chanel:
«Dove bisognerebbe spruzzare il profumo?» chiese una giovane donna.
«Dovunque si voglia essere baciati», dissi.
Tra i tanti esempi che vi avrei potuto proporre ho scelto questo perché è favolosa l’idea di “assaporare” il profumo con le labbra premeditandone la geografia corporale. La citazione è tanto sobria quanto il rimando sensoriale è intenso e lascia, letteralmente, senza fiato.
Per quanto riguarda il senso della vista, essendo quello al quale la maggior parte di noi si affida di preferenza nel quotidiano e anche quello al quale maggiormente affidiamo le nostre scritture e le nostre letture, non abbiamo che l’imbarazzo della scelta. E se è, forse, nei diari di viaggio che possiamo stupirci maggiormente, esattamente come ogni magia dovrebbe fare, a me piacerebbe proporvi uno spunto di lettura che può aiutarci a valutare l’argomento da un punto di vista “specialistico”, per così dire. Sto parlando di Cecità di José Saramago, un romanzo che parla di una strana forma di epidemia che causa un’inspiegabile cecità. Eccovene un frammento:
«In verità, un oculista cieco non poteva servire a molto, ma spettava a lui informare le autorità sanitarie, avvisarle di quello che si sarebbe potuto trasformare in una catastrofe nazionale, né più né meno che un tipo di cecità finora sconosciuto, con tutta l’apparenza di essere altamente contagioso e che, a quanto pare, si manifesta senza la previa esistenza di attività patologiche precedenti di carattere infiammatorio, infettivo o degenerativo […] Occhi che avevano cessato di vedere, occhi che erano talmente ciechi, eppure erano in perfetto stato, senza alcuna lesione, recente o antica, acquisita o primitiva».
Dell’opera, come si evince bene dall’esempio proposto, è impressionante l’idea di questa improvvisa incapacità di vedere che più che funzionale è psicologica!
Per quanto riguarda il tatto, certamente tutti i manuali legati alla pratica del massaggio potrebbero fornirci un’utile sponda, allo stesso modo potrebbero farlo alcune note pubblicazioni di genere erotico ma a me, anche stavolta, piace proporvi un punto di vista non scontato, quello dei guaritori. Lo farò attraverso un esempio tratto da I guaritori di campagna – Viaggio attraverso la medicina popolare in Italia di Paola Giovetti:
«Ma perché si chiama acqua medaglia?
“Perché è una cosa che si fa con l’acqua, però ci vuole anche la medaglia di un santo, che si usa quando con l’acqua non si hanno buoni risultati. […] È questa la medaglia che uso per segnare: era della nonna e ora la uso io.”»
Con “segnare” l’intervistato intende “fare il segno della croce” sulla persona colpita da malocchio. Questo esempio, uno tra i tantissimi, è interessante perché l’azione in sé, toccare la parte colpita facendovi sopra il segno della croce, equivale a trasmettere, con il tocco e le preghiere, un’energia curativa, benevola, protettrice e, parimenti, liberatrice. E questo ci consente di tornare al libro del quale vi ho parlato in apertura, Il giardino che cura. L’energia del guaritore di campagna è qualcosa che va oltre la spiegazione sensoriale perché è affidamento totale, è fiducia sublime, è consapevolezza che non siamo solo corpo e che c’è qualcosa che agisce sui nostri sensi senza provenire direttamente da essi o senza utilizzarli come veicolo esclusivo.
Ecco, credo che il “potere curativo” dei guaritori di campagna sia associato ed associabile proprio al luogo nel quale esercitano la loro arte, dal quale traggono le energie, nel quale vivono ed accolgono le persone che chiedono il loro aiuto. Un po’ come se il fascino sottile con il quale i Kaplan si riferivano alla pulsione alla “bellezza”, intesa genericamente come piacevolezza, utilizzasse il guaritore come mezzo per giungere fin verso coloro che riescono ad esprimere un’attenzione meno favorevole verso l’energia della Natura.
Spero che questa rapidissima carrellata di testi abbinati ai sensi con i quali possiamo “leggerli” vi abbia incuriosito, fatto rivalutare la lettura in una chiave multisensoriale e stimolato il ricordo di tantissimi esempi da categorizzare tra i diversi sensi.
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