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Il Mercante, un posto incredibile che scoppia di letteratura.

di Caterina Corucci

Fare un’evasione letteraria in questo periodo è difficile. Non ci sono eventi, incontri cui partecipare, non ci si può spostare. Intendo spostarsi davvero, perché sul web si può andare ovunque, anche al MoMA di New York, al Museo Egizio di Torino o alla presentazione di un libro a Roma. No, io dico evadere con le gambe, vedere le cose senza un’interfaccia come tramite, sentire l’odore e anche la polvere di un luogo.

Polvere… come ho fatto a non pensarci? C’è un posto che letteralmente scoppia di letteratura, dove basta andarci e sei in un altro mondo. Non devo neanche uscire dal Comune, è a Livorno e ha riaperto da pochi giorni. Lì la polvere la senti, eccome. Non ci sono mai stata, me ne parlò un’amica; ignoro pure il nome però so più o meno dov’è. Prendo la bicicletta e vado.

Arrivo in Piazza Garibaldi, in un quartiere vivace della mia città che pulsa intorno al mercatino rionale e prende energia dai colori e lingue diversi. Ma non in questo periodo. Ora le bancarelle verdissime sono serrate e sembrano offese dal silenzio insolito. Saluto il vecchietto sulla panchina davanti alla statua, solo con il suo bastone e il fagottino del pane e gli chiedo se conosce la libreria che vende libri usati, qui nei paraggi. Lui si volta e mi indica un punto oltre una bancarella. Eccola, “Il Mercante”, è così che si chiama.

La vetrina trabocca, nel senso che i libri premono da dentro, irrompono sulla lastra trasparente, incontenibili. Entro e mi blocco sulla soglia, non ero pronta a uno spettacolo del genere. Sono certa di avere la faccia da ebete mentre ingoio l’immagine con gli occhi. Una marea, no una massa, no un’orgia di volumi accatastati in ogni dove; quelli sugli scaffali sono la parte minore, il grosso è sui tavoli, sotto i tavoli, per terra, nelle scatole. Montagne di letteratura. Renato Tonelli non lo vedo subito, è seduto dietro una scrivania ingombra, incastonato in un muro di copertine e costole, spunta solo la parte superiore della testa e quando mi saluta quasi mi viene un colpo.

Dico che vorrei fargli delle domande per un articolo sul suo negozio, ma prima mi piacerebbe dare un’occhiata in giro. Lui risponde che posso stare quanto voglio, almeno fino all’ora di chiusura.
E io non so da che parte cominciare.

Sulla destra mi sembra di capire siano “sistemati” i contemporanei, ma solo a grandi linee; sugli scaffali ci sono Michael Connelly e Mary Higgins Clark, ma anche il ricettario toscano. A sinistra invece ci sono i classici, all’incirca, perché accanto a Pirandello e Flaubert trovo Missiroli. Nella stanza di là ci sono i fumetti, però anche Giuseppe Berto. Dappertutto Wilbur Smith, come se piovesse.
Devo apparire sconcertata perché Renato mi dice che se ho bisogno posso chiedere a lui. Lo sfido, butto lì un Frankenstein di Mary Shelley, lui esce dalla sua nicchia, va e lo prende. Per altri titoli è più difficile, tocca letteralmente scavare però li trova; secondo me è fortuna, per lui  è normale.

Intanto mi racconta. Sono circa dieci anni che da collezionista quale era è diventato libraio, compra l’usato dai privati e lo rivende. Anche raccolte particolari, vinili, antiche cartoline. «Ma il punto di forza», dice «sono le vecchie edizioni». Quelle le identifico subito, le rilegature in pelle non passano inosservate, stanno ai piani alti degli scaffali e sono tutte marroni, rosse, verde scuro. Trovo ‘Opere’ di Hemingway, edizione 1966, una raccolta tradotta da Giorgio Monicelli e Fernanda Pivano con un piccolo ritratto dello scrittore, tipo cameo, protetto da carta velina; c’è la sua firma in seconda pagina e un nastro in raso come segnalibro.

Poi chiedo se mi aiuta a cercare ‘Misery’ di Stephen King, ho capito quale dovrebbe essere “il posto” ma  è impossibile raggiungerlo, c’è una vera e propria montagna di libri che si interpone. Renato mi dice che posso avvicinarmi, se trovo il modo. Visto che non oserei mai calpestare libri l’unica è procedere carponi e così faccio, arrampicandomi sul mucchio. Solo che le copertine scivolano, la montagna letteralmente mi frana sotto le ginocchia e mi ritrovo sdraiata su un letto di libri, come nel sogno più roseo di ogni lettore incallito. In mano mi è capitato il romanzo  di uno scrittore che conosco personalmente. C’è una dedica in seconda pagina, qualcuno è andato alla sua presentazione, l’ha chiesta proprio per sé, mi raccomando scriva bene il nome, sa ci tengo tanto, mi chiamo Tizio. E poi niente, è finita così. C’è anche un biglietto fra le pagine, con un disegno a matita. Oggetti dentro oggetti. Storie dentro storie.

È ora di chiusura, me ne vado con il mio bottino (perché di questo si tratta), euforica. Ho speso una scemata, tre o quattro euro a volume; qualcosa in più soltanto per le ‘Opere’ di Hemingway.

Però Misery alla fine non c’era, o forse sì, magari nella slavina di copertine su cui sono scivolata.
Ammetto di aver pensato, peccato non riuscire a tirar fuori l’opera che avrei voluto (perché ci scommetterei che da qualche parte c’era), ma è un pensiero che qui davvero non ha molto senso. Ne ho scovate altre che proprio non avevo in mente quando sono entrata, e in fin dei conti ho la scusa per tornare e guardare meglio, con la l’atteggiamento giusto per questo posto incredibile, che non è “andare per cercare”, ma “andare per trovare”.

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