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Reaching Out Into the Void: una Riflessione sul Grot di Ferruccio Mazzanti, A Braccetto con Alex e Holden

di Rachele Salvini

Il Giovane Holden è stato il primo romanzo che mi ha aperto in due. Banale, lo so. Ma a dodici anni, come potevo resistere? Un ragazzino tenero e tremante di rabbia che se la gira per una New York innevata, alla ricerca della vecchia Sally, provando a dare un senso al trauma della morte del fratello. Mi sono innamorata. Di Holden, di Salinger, dell’America. 

Dopo Salinger, I’ve been a sucker for boys – quei boys incazzati, problematici e romantici della letteratura giovanile, i ragazzi finti disillusi e irrimediabilmente innamorati. Innumerevoli.

All’inizio di quest’anno ho riletto Jack Frusciante è Uscito dal Gruppo di Enrico Brizzi, in cui “il vecchio Alex” sfreccia per Bologna sulla sua bicicletta in direzione dell’amata Aidi, perso in riferimenti musicali ed espressioni in slang anni novanta che forse saranno risultate perfettamente attuali ai tempi dell’uscita del romanzo, nel 1994, ma che nel 2021 suonano quasi, come direbbe Holden… phony. Ciononostante, la consapevolezza nella ricerca e nell’esercizio linguistico di Brizzi è ciò che rende lo stile di Jack Frusciante ancora comprensibile e attuale: sappiamo che il narratore (a volte il vecchio Alex stesso attraverso i suoi diari, a volte il narratore onnisciente) sta provando a comunicare con noi non solo nell’unica lingua in cui desidera o riesce a esprimersi, ma anche in quella che – presumibilmente – il giovane lettore si riconoscerà. Alex, come Holden coi suoi “it kills me,” “… and something,” eccetera eccetera, prova a fare ciò che gli inglesi chiamano reaching out: contattare, chiamare, ma anche raggiungere. Il narratore, e lo scrittore, cercano di “raggiungere” il lettore. Ed è proprio sullo studio del linguaggio come strumento per raggiungere il lettore che si impernia la costruzione di questi due giovani personaggi: Salinger negli anni cinquanta, come poi Brizzi negli anni novanta, rappresentano la teenage angst attraverso un linguaggio che spesso disorienta o sciocca.

Arrivo al punto. Ferruccio Mazzanti, con Timidi Messaggi Per Ragazze Cifrate, mi ha ricordato entrambi i romanzi. Il protagonista di Timidi Messaggi, Grot, è un hikokomori, un ritirato sociale che non esce dalla sua camera da più o meno tre anni e comunica con la madre attraverso lettere criptate che fa scivolare sotto la porta. Grot è antisociale, ma prova a esercitare il “reaching out” di cui sopra attraverso una cieca spedizione nel vuoto di lettere d’amore criptate su forum dove presumiamo nessuno le decifrerà.

Ovviamente, la trama prende una direzione diversa: Grot “conosce” online Maria Freder, unica ragazza che risponde alle sue lettere e lo sfida con ulteriori crittografie. Per Maria, Grot uscirà finalmente di casa, aggirandosi per una città dalle coordinate offuscate, stringendo un girasole tra le mani e cercando di evitare gli ostacoli che i contatti con il mondo esterno e, in particolare, con le persone, gli sottopongono.

Dove sta allora lo studio del linguaggio in Timidi Messaggi? Grot, inglobato nella cultura online, nel suo distacco dalla società, riesce esclusivamente a esprimersi attraverso messaggi criptati, linguaggi che studia meticolosamente, al limite dell’ossessione e della paranoia; il romanzo di Mazzanti è prima di tutto un libro sulla comunicabilità e l’incomunicabilità, ma anche un commento sulla salute mentale, sulla cultura dei social media, sullo smarrimento giovanile, la scarsa fiducia in un futuro prospero, e sul disgusto per il proprio corpo. I romanzi di Salinger e Brizzi sono pieni di “carnality”, come direbbe la scrittrice Mary Karr, intesa come un’attenzione verso la relazione intensa tra il corpo e ciò che lo circonda; Grot, invece, il suo corpo lo odia profondamente, e si trascina dalla parte all’altra della sua cameretta, disposto a uscire solo per pulire la casa a fondo e rimuovere ogni prova della sua stessa corporeità prima che la madre torni dal lavoro. Grot costruisce la sua realtà in un mondo astratto e in un linguaggio che, al contrario di quello di Alex e Holden, non rispecchia il parlato “reale”: al contrario, Grot non smaschera, ma nasconde i suoi pensieri dietro la crittografia. Grot pende sul confine tra arroganza e insicurezza: ciò che scrive è così importante che il lettore, così come il destinatario delle lettere, deve impegnarsi a fondo per decifrarlo, ma allo stesso tempo le sue idee e i suoi sentimenti sono avvolti dalla patina della crittografia che li protegge, li difende da occhi indiscreti, da chi in fondo non è disposto a decifrare Grot stesso: “Perché non mi decripti? Perché non impari a capirmi?” (50). Il lettore si trova quindi a fronteggiare pagine su pagine di lettere, appunti, parole scritti in codice – un codice di cui è fornita la chiave, a volte, a un certo punto, forse. Che fare, si domanda il lettore più o meno paziente? Saltare a pié pari? Decifrare tutto prima di cercare e/o ottenere la chiave? Chi è davvero disposto a decifrare Grot – il lettore, la madre, Maria?

E poi, a proposito di riscritture: Mazzanti si diverte a giocare col layout della pagina quando la madre di Grot canta spezzoni di “Back to Black” di Amy Winehouse o Grot è impegnato in goffi dialoghi con altri personaggi; le parole inglesi sono trascritte come le scriveremmo noi italiani se non sapessimo niente di fonetica e pronuncia inglese. I dialoghi sono spezzettati, diluiti con puntini di sospensione misteriosi, o condensati con ulteriore crittografia. Grot passa da lunghi spiegoni su storie e vite di crittografi, in cui usa un linguaggio deliberatamente raffinato, a un linguaggio fresco, degno di quel dibattuto slang del Brizzi: “anche un po’ che palle però essere sempre così” (21).

Ferruccio Mazzanti

La maggior parte del libro, va detto, è scritta in chiaro, che rende l’esperienza della lettura sempre accessibile, e la presenza della crittografia non è mai esagerata o fastidiosa. La crittografia assume dunque un valore metaforico, ma attraverso il contrasto tra i messaggi in codice e le pagine scritte in chiaro, Mazzanti consente al lettore di esplorare la mente di Grot, e schiude moltissimi temi che mi sembrano centrali nella letteratura d’esordio contemporanea in Italia.

Per esempio, è nel momento in cui Grot deve trovarsi di fronte alla “carnalità” del mondo esterno che Mazzanti tratta il tema della salute mentale in modo originale. In una scena di particolare forza, la tensione schizza: “E poi all’improvviso, ma perché tutte le cose importanti accadono sempre all’improvviso senza che nessuno mi avverta, la porzione destra del tronco del mio corpo si congela e un’infinità di scariche elettriche come aghi confiscate nella carne si diffondono con inclinazioni irregolari fin dentro le ossa” (162). Il romanzo si fa particolarmente “carnale” quando Grot viene finalmente toccato: “E’ una sensazione orribile che mi blocca il respiro e probabilmente anche il cuore. Il gelo si diffonde per tutto il corpo e il campo visivo si restringe a causa di un abbassamento di pressione, e il sangue si ritira dalle parti periferiche come le braccia, le gambe e tutta la superficie corporea, per rintanarsi nelle zone più profonde e nascoste del mio corpo, trasformando il mio incarnato da un colore vagamente lattescente a quello di uno straccio grigiastro che si usa per lavare i pavimenti forse con qualche zona vagamente più viva tendente a un sanissimo viola cancrena e tutto questo a causa del peso di una mano che si appoggia sulla mia spalla e che mi fa realizzare che non solo nessuno mi ha toccato mai negli ultimi 1255 giorni, ma anche che ora forse voglio scomparire con il trasporto istantaneo di materia organica da un punto a un altro come in Star Trek” (162-163).

L’attenzione verso la reazione fisica al tatto, la repulsione verso il proprio corpo, la descrizione precisa e scioccante di quello che potrebbe essere un attacco di ansia: in questo passaggio, Grot rivela la sua fragilità e tenerezza, la complessità e profondità del suo disagio. La mano che lo tocca non è quella dell’amata Maria, la donna che ama, ovvero il moto che lo spinge a uscire di casa, ma quella dell’odiatissimo ex compagno di classe Rotwang, bello bello bello in modo assurdo, che Grot percepisce come un dono di Dio al sesso femminile, e che quindi, ovviamente, detesta. E anche qui potrei tracciare un parallelismo tra gli eroi maschili, i nostri boys irrequieti, spesso squattrinati, problematici, come Alex, Holden, e Grot, contrapposti agli antagonisti, solitamente uomini belli, privilegiati, ricchi, di solito sessualmente attivi: l’odioso Stradlater, compagno della scuola privata che frequenta Holden, o Martino, il ricchissimo e tragico migliore amico di Alex. La competizione maschile provoca quasi un test di carattere per questi boys, che stentano a provare empatia quando l’insicurezza, la repulsione per se stessi e il disprezzo per il mondo esterno sembrano travolgerli e minacciare le loro capacità di essere a loro volta detentori di una mascolinità vincente.

A proposito di privilegio, Timidi Messaggi per Ragazze Cifrate è anche un libro sulla classe, e, anche se indirettamente, sulle donne – i passaggi sui disperati tentativi di comunicazione della madre di Grot col figlio sono tra i più strazianti del romanzo, e nei momenti in cui la professione della donna, single, sola, si fa dubbia, Mazzanti costringe il lettore ad affrontare la schiacciante consapevolezza che il privilegio sia in effetti per qualcuno un dado tirato su un tavolo e planato sul numero perfetto senza neanche affaticarsi a rotolare, e per qualcun altro, un dado precipitato in un tombino senza neanche la speranza di conoscere il numero estratto. Timidi Messaggi per Ragazze Cifrate fa riferimenti alla precaria situazione economica di Grot e sua madre, ma Grot fatica anche ad accettare il casuale privilegio di chi è sano, di chi è bello, di chi è “funzionale” alla società secondo le convenzioni di un mondo “normale” a cui Grot sa di non appartenere. La consapevolezza della casualità (e ingiustizia) del privilegio sembra avere effetti devastanti sulla salute mentale di Grot e sul suo completo scetticismo in un futuro migliore, sia per se stesso, che, forse, per la sua generazione: “Qui lo dico una volta per tutte: la mia infanzia è stata felice. L’orlo della crisi, l’abisso che si spalanca su di me non è rivolto al passato, un trauma da ricostruire attraverso delle mie memorie. Il luogo della sconfitta si situa esclusivamente nel futuro: non esco perché un giorno io sarò sconfitto e tutto questo mio mondo tramonterà di fronte alla concretezza del reale” (49). Alla fine del romanzo, Grot deve affrontare il reale e si trova in una piazza, circondato da “individui proprio come me”: “… noi marciamo disomogeneamente, ognuno col proprio linguaggio incomprensibile che attende solo di essere decifrato, come un geroglifico nel deserto o una lingua morta o un simbolo spezzato, e in questo segno conquisteremo la nostra normalità” (238). Il libro di Mazzanti fa ciò che un buon romanzo dovrebbe fare: pone domande senza la pretesa di fornire risposte. Timidi Messaggi stimola riflessioni, parallelismi, domande su cosa significhi essere giovani e persi, su come immaginare il futuro di una generazione già chiusa in certi spazi astratti della tecnologia, e poi obbligata al confinamento della pandemia proprio nel 2020, anno di uscita del romanzo. Ma autori enormi come Salinger, o nomi importanti della letteratura italiana come Brizzi, così come innumerevoli altri scrittori, fanno queste domande da molto tempo.

E’ consolante sapere che il panorama letterario esordiente continui a porre quesiti importanti sull’irrequietezza giovanile, declinandoli su sensibilità, bisogni, e disagi dettati dai tempi, e alzando l’asticella per creare nuovi linguaggi da decifrare.

Per chi lo desidera, al seguente link è possibile seguire una breve presentazione del libro effettuata dall’autore stesso.

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