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Mondi sommersi

di Enrico Pompeo

Titolo: Nives

Autore: Sacha Naspini

Edizioni: e/o

Pagine: 131

Conosco Sacha Naspini da quattro anni, quando mi mandò per e-mail la bozza di copertina per un mio romanzo. Mi ricordo che pensai:  “Questo è un genio! Non ha letto il libro, abbiamo parlato cinque minuti al telefono e guarda cosa ti tira fuori.”

Cominciai a incuriosirmi e scoprii che il grafico era solo una delle sue attività collaterali: Sacha era già uno scrittore affermato.

Andai in libreria, presi un suo libro, lo lessi e tornai a prenderne un altro e poi ancora uno e due, per recuperare il tempo perduto.

Questo scrive da dio, anzi no, da demone della scrittura!

Non sbaglia un colpo. Ne ho letti tanti suoi, tutti quelli pubblicati da e/o tra prime uscite e ripubblicazioni e anche altri scritti precedenti.

Ogni volta ho paura che non sia all’altezza dei precedenti, che per me sono capolavori, e lui mi disorienta, distrugge i miei dubbi e sposta l’asticella più avanti.

Che sia un romanzo corale ambientato in un paese arroccato sulle colline maremmane (Le Case del Malcontento), una storia contemporanea su cosa rimane quando scopri che una persona che ami è un criminale (Ossigeno) , o il processo di (de)formazione di uno spirito inquieto (I Cariolanti: “Te mica lo sai cosa vuol dire nascere di traverso”), oppure, ancora, un romanzo storico su Giovanni Delle Bande Nere, famiglia Medici (Il Gran Diavolo), l’effetto è quello di un libro che smuove territori interiori nascosti e quando finisci, qualcosa ti rimane addosso, come il segno di uno sgraffio.

Anche qui, in Nives, l’orizzonte è quello. Sì, il tono è meno drammatico e c’è un finale che apre qualche spiraglio a un equilibrio, ma, attenzione, quello che conta non è ciò che appare, ma quello che è stato taciuto per troppo tempo, il pozzo del rancore che si spalanca e dalla carrucola viene su di tutto e di più.

Il racconto nasce da un’idea strepitosa: un’anziana contadina, isolata, si trova vedova da un momento all’altro. Non piange, però non riesce a dormire: la solitudine. Allora, per farsi compagnia, si mette in casa una gallina, Giacomina. La donna si rasserena, solo che l’animale, una sera, appollaiata – anzi, aggallinata – sul divano a guardare la televisione si blocca, occhio  fermo, come ipnotizzata. Nives va in crisi e può fare una sola cosa, telefonare al veterinario Loriano Bottai.

E il libro è tutto in questo dialogo condotto attraverso un botta e risposta che ha un ritmo così trascinante da impedirti di staccarti dalle pagine. Sembra già pronto per una messa in scena teatrale, tanto sono curate le battute dei due protagonisti.

Fin dall’inizio si capisce che tra loro c’è qualcosa in più di un semplice rapporto tra dottore e cliente.

E, come al solito, anche in questo Naspini è veramente un maestro: ogni parola è carica di significato ma nel contempo allusiva e ambigua. Ci sono continui rimandi, ammiccamenti, segnali che qualcosa di non detto, prima o poi esploderà e tu, lettore, rimani incollato alla pagina per scoprire, frase dopo frase, tutto l’annodarsi di esistenze legate tra loro come le spine di un rovo.

Il modo di scrivere di Sacha è un continuo oscillare tra mostrare e nascondere, tra raccontare e omettere, però questo ondeggiare non è mai caotico o disarmonico, ma possiede una seduzione irresistibile.

Ogni colpo di scena è tale, anche se, appena l’hai scoperto e ci rifletti, ti rendi conto che non solo era plausibile, ma coerente e immaginabile.

Solo che te ne accorgi solo dopo.

Naspini predilige una narrativa che scuote, spiazza e il suo ruolo non è di un capofila che porta chi legge a seguire, ma di una voce che si mette dietro, di fianco e pungola, spinge e stimola domande, senza offrire risposte costituite, percorsi prestabiliti e soluzioni.

Qui ogni tanto si ride, ci si commuove anche, ma più che altro ci si interroga su di noi, su chi siamo, sulle scelte che abbiamo compiuto, sui momenti in cui abbiamo compiuto gesti che non volevamo fare, ma che non siamo stati in grado di eliminare.

Ancora una volta, Naspini sorprende e delizia, anche se lascia qualche taglio dentro. In fondo, pensandoci bene, non è questo ciò che dovrebbe fare la vera letteratura?

L’ho letto in tre ore e mezza, filate, senza fermarmi, saltando anche il pranzo e, infatti, a metà pomeriggio avevo una fame enciclopedica. Eppure ero contento. Anche se con un buco nello stomaco non indifferente.

Ah, un’altra cosa: noi maschietti non facciamo una bella figura, tutt’altro. In realtà, il marito di Nives, Anteo Raulli – ma poi, da dove gli verranno questi nomi strepitosi, non lo so – in fin dei conti, un po’ ci riscatta. Peccato, però, che muore dopo cinque righe dall’inizio. E non ho anticipato nulla, visto che è scritto anche sul retro copertina.

Gli altri uomini sono falsi. Ecco tutto. Che si presentano agli altri spavaldi e orgogliosi, mentre in realtà sono deboli, come è normale che sia, ma loro non lo vogliono ammettere e così inventano maschere che li trasformano in piccoli mostri quotidiani.

Le donne ne escono meglio: sono più autentiche e meno ossequiose a un ideale di grandezza impossibile da raggiungere.

Insomma, per farla breve, sennò va a finire che la recensione dura di più del libro stesso, Nives è proprio un gioiellino che dimostra, una volta di più, la qualità dell’autore, dell’editor e della casa editrice: questi sono dei maghi, altroché!

Buona lettura.  

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