di Enrico Pompeo
Titolo: Il tempo materiale
Autore: Giorgio Vasta
Editore: Minimum Fax
Da Gennaio 2020 a oggi, primi di Luglio dello stesso anno, complice anche il periodo di reclusione forzata in casa, ho letto trenta libri con una media di cinque al mese. In generale, di questi un terzo, quindi una decina, mi convincono e li consiglio. Poi ce ne sono alcuni, pochi, che diventano per me testi importanti, significativi.
‘Il Tempo Materiale’ è uno di questi.
Devo dire che un po’ me l’aspettavo: ho conosciuto l’autore a un seminario di scrittura organizzato dalla Biblioteca San Giorgio di Pistoia, durante la manifestazione “Il Libro che verrà”, Ottobre 2019, organizzata da Martino Baldi e i suoi collaboratori, alla quale non manco da tre anni cioè da quando è iniziata, e che mi vedrà tra i suoi frequentatori anche quest’anno. In quell’occasione ho avuto modo di conoscere il lavoro di Vasta, la sua immensa cultura, che spazia tra libri, cinema, arte; la sua profonda generosità e la sua attenzione, quasi spirituale, alla forza delle parole, al linguaggio.
Grazie a quell’incontro ero riuscito a organizzare un suo laboratorio, con l’aiuto di Federica Antonacci per conto de “La Scuola del Libro” presso l’Agriturismo Montevaso, struttura per seminari sulla comunicazione con la quale collaboro, che sarebbe dovuto svolgersi a Luglio, ma, ahimé, l’appuntamento è stato rimandato per il Covid-19. Lo rifaremo a Estate 2021. Sicuro.
Durante quelle giornate a Pistoia, tra le innumerevoli perle che Vasta ci ha donato, una mi è rimasta più impressa: lo scrittore è colui che mantiene lo sguardo: sua è la persistenza del vedere, del continuare a osservare.
Ora, magari le parole non erano esattamente queste, ma il senso sì.
E questo romanzo, così pulito, puro ne è la prova. Ogni termine è scelto con cura, attenzione, con rispetto e se togli un solo vocabolo, tutta la costruzione cade. Vasta è un architetto della scrittura: costruisce strutture apparentemente semplici, ma profondamente calibrate, dove l’estrema complessità del disegno produce una chiarezza, una lucidità impressionante.
Attraverso il suo lavoro, la parola si fa nitida ed evocativa, un’eco infinita, che rimanda all’essenza del linguaggio.
Come un nuovo vocabolario, l’ “Alfamuto”, una precisa coreografia di movimenti, creata dai tre protagonisti della storia per comunicare tra loro senza essere capiti. Senza suono. Col silenzio.
Ma perché hanno così bisogno di questo codice? Perché non possono permettersi di essere compresi.
Questi tre ragazzini di undici anni, dentro una Palermo cruda, viva, pulsante, nel 1978, in pieno periodo storico del Terrorismo, a cavallo del rapimento Moro, decidono di creare una cellula autonoma delle Brigate Rosse.
Progettano e attuano azioni di sabotaggio, guerriglia urbana fino al rapimento con tortura. Con un misto di candore e violenza, di rabbia e di innocenza, che sono le caratteristiche sensazioni che segnano l’inizio dell’adolescenza.
Tutto narrato attraverso gli occhi di uno dei tre, che noi conosciamo soltanto attraverso il nome di battaglia, non quello di battesimo, per marcare ancora di più l’ingresso in un altro mondo, quello della rivolta, della possibile clandestinità, in cui anche le identità cambiano.
Si fa chiamare Nimbo, una voce graffiante, potente, autentica che, quando è il momento, lascia lo spazio agli altri due suoi compagni di lotta, alle loro vicende, alle loro storie.
Riesce a farsi da parte e osservare, quasi come un biologo, la vita che gli sta intorno: da quella disgraziata dei gatti abbandonati e menomati, a quella assente della “Bambina Creola” adottata e studiata con un’attenzione che mescola sentimento e distacco, amore e odio. Fino al compagno di classe, deriso, isolato, che diventa il perno, il punto di riferimento per misurare la loro capacità di diventare esecutori insensibili della propria ideologia.
C’è molto dolore in questo libro, tanta amarezza, quasi rabbia; eppure c’è anche la forza profonda del non arrendersi mai, del credere alla potenza delle idee e delle emozioni, quando sono vere, sentite fino in fondo.
Anche quando si intuisce che tutto può perdersi:
Fin dall’inizo il nostro sogno è stato diventare dei socrate della lotta armata: inevitabilmente sconfitti ma orgogliosamente sconfitti. E a quel punto, nella sconfitta, invincibili.
Libro che non si dimentica, definito dal Times: “uno dei più importanti romanzi apparsi in Italia negli ultimi dieci anni”; osannato in Francia sulle pagine di Le Monde, questo romanzo ci fa entrare come non mai nella testa e nel cuore degli adolescenti, come si sviluppa il meccanismo di seduzione della violenza, quanto sia sottile il divario tra purezza e barbarie.
Con un finale sorprendente, emozionante, quasi spiazzante alla prima lettura, ma, una volta fatto un sospiro, totalmente credibile, coerente, questo libro entra prepotentemente tra i migliori libri letti in questi ultimi anni.
Buona lettura.
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