di Guendalina Blabla
L’estate è finita, questo è poco (anzi tanto) ma sicuro.
Quest’anno la prova costume è stata un calvario, esattamente come mi accade ormai da un decennio a questa parte, ma a sessantaquattro anni non si può certo pensare di avere lo steso fisico che si aveva a quaranta. Io me ne farei pure una ragione, ma non è facile con mio marito.
Sembra intento a leggere la Gazzetta dello Sport e invece, ad un certo punto, la abbassa leggermente e mi dice: “Lo sai Wendy che pensavo ieri? Che dovresti andare a passeggiare un po’. Ti farebbe bene.”
Voi come avreste reagito? Io me ne sono rimasta impietrita un secondo di troppo. Il tempo appunto per dargli l’occasione di rincarare la dose. “Oggi niente pasta, mi raccomando. Almeno rimani leggera.”
Non sarò pronta di riflessi come vorrei, ma state pur certi che uno di questi giorni gliene dico quattro, promesso.
Se pensate che sia coraggiosa a dire così, mi dispiace deludervi. Il segreto della mia intraprendenza è racchiuso tutta nella sicurezza che lui non leggerà mai queste parole. Figuriamoci, le considera sciocchezze frivole e senza senso. Voi nonne, voi mamme, invece, sapete bene che trovare il giusto libro è il modo migliore per passare del tempo insieme ai nostri figli o nipoti, per farli ridere, per farli crescere, per farli addormentare.
Vengo quindi al punto e al libro di cui ho scelto di parlare questa volta: I tre piccoli gufi di Martin Waddell e Patrick Benson. Un libro perfetto per i bimbi e le bimbe di due o tre anni.
Avete ragione, mia nipote è troppo grande per questo libro. Con i suoi quattro anni viaggia spedita verso ben altre storie, ma questa estate, sotto l’ombrellone, mi è capitato di assistere ad una scena che potrei titolare “Maestre in spiaggia”. Tre insegnanti della materna si sono date appuntamento nell’ombrellone accanto al nostro e hanno parlato così tanto di questo libro che mi hanno incuriosito.
“Se per loro è così bello” ho pensato, “bisogna proprio che ne parli nella rubrica che tengo per quei ragazzi”. Così eccomi qui.
I tre piccoli gufi. L’ho comprato, l’ho letto, mi è piaciuto. Già questo dice tanto, ma dicevano ancora di più quelle simpatiche maestre.
“Quando l’ho letta la prima volta, la storia mi è sembrata carina, ma niente di più” ha detto una di loro. Deve essere coetanea di mia nuora: mora, faccia d’angelo che a vederla di sfuggita ti pare una ragazzina. Poi la guardi meglio e pensi che vorresti invecchiare esattamente come lei. “Poi l’ho letta a mia figlia” ha aggiunto, “e l’ho vista rapita.”
A quel punto Igor mi s’è parato davanti e non sono riuscita a levarmelo dai piedi fino a quando non ho trovato il suo preziosissimo mazzo di carte. Una volta ottenuto quello che voleva si è dileguato in un batter d’occhio assieme al suo amico Antonio, a cui ha vinto tre euro e quarantacinque centesimi giocando a scala quaranta.
Non sono quindi riuscita a sentire il commento di Loretta, la nostra vicina di ombrellone, ma l’altra sua amica, quella biondina col sorriso contagioso, l’ho sentita bene. Ha detto che i bambini, in classe, non fanno che ripeterle “ancora”, “ancora” e poi “ancora”.
In fondo non c’è da stupirsi, è una storia che parla di famiglia. Perfetta per prepararli al distacco dalla figura materna. Beh potrei dire genitoriale, ma è chiaro che a quella età il distacco più grande è quello dalla mamma che li ha allattati, ha giocato con loro tutte le mattine e poi, improvvisamente, sparisce.
Proprio come avviene nella storia. I tre piccoli gufi che ne sono i protagonisti si svegliano di notte e non trovano la loro mamma. Sono fratelli, piccolini, gufetti bianchi e tenerissimi. Hanno paura, è ovvio, e ognuno di loro reagisce a modo suo.
Sara è la più grande e cerca di farsi coraggio, di avere fiducia. Bruno le va dietro, rassicurato dalle sue parole o spaventato dai suoi tentennamenti. Il piccolo Tobia, infine, vuole solo la sua mamma e nulla lo distrae da questo pensiero.
È un libro scritto in modo molto semplice, quasi ripetitivo e musicale. Conforta i bambini, proprio come vedere i tre gufetti che si fanno coraggio a vicenda. Insegna loro il senso della famiglia, l’importanza di darsi una mano.
Insieme si è più forti, insieme si supera tutto.
Questo dice il libro. Io aggiungo che insieme va bene, anzi benissimo, ma dopo quarantun anni di matrimonio anche un po’ di distacco non fa male. Ma ovviamente sto andando fuori tema.
Ritorno al libro e dico che, come tutte le storie belle, anche questa ha un lieto fine. La mamma torna dai suoi piccoli, sempre.
Sarà per questo che anch’io non riesco a dire di no a mio figlio. Vado a prendere Alice a scuola, stiro le camicie di Gianluca e a volte preparo anche la loro cena perché Veronica è stanca. Sì, lei è stanca e io sto per diventare nonna di nuovo.
Non voglio pensare a come saranno le mie giornate quando il regalo di Natale di mio figlio e mia nuora verrà alla luce. Per scaramanzia non dico altro, sono combattuta tra una grande gioia e un pizzico di timore.
Ma poi ci ripenso e mi dico di non preoccuparmi, tanto siamo tutti nati con i piedi piatti.
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