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Dio ci salvi dall’editoria

di Simona Pacini

“Samuel Protti aveva tutto dello scrittore giovane. La barba rossiccia, fumava il Samson con i filtrini ecosostenibili, frequentava i pub del Pigneto, quartiere della Roma nouveau intellectuel, sorto in un tentativo disperato di riqualificare una zona sconfitta fra la Casilina e la Prenestina, e beveva solo birra artigianale. Aveva un blog che si chiamava ‘Letteratura oggi’ in cui, spietato, criticava tutti i libri che si piazzavano nella top ten. Era esperto delle letterature minori del Mali e dello Sri Lanka. Difendeva a spada tratta solo Alvaro Careddu, a suo dire l’unico vero scrittore italiano. (…) 

Insomma, Samuel Protti dello scrittore aveva tutto. Tranne un romanzo pubblicato”.

“Ogni riferimento è puramente casuale” non è solo la formula di rito usata dagli scrittori per evitare grane con chi dovesse riconoscersi nei loro racconti o romanzi. Da pochi mesi è anche il titolo di un libriccino di Antonio Manzini, edito da Sellerio nella collana Il Divano. Ha lo stesso formato e lo stesso colore verde acqua di un altro mini libro di Manzini, “Sull’orlo del precipizio” (Sellerio 2015) e, considerato l’argomento che tratta, appare come una sorta di naturale prosecuzione.

Ne parliamo dopo l’intervista che Manzini ci ha rilasciato qualche tempo fa proprio su questo argomento.

https://www.rivistaoffline.it/wp/2019/07/14/antonio-manzini-la-narrativa-ci-salvera-da-questi-giorni-orrendi/

In sette racconti, attingendo al grottesco, al thriller psicologico e ad altre forme espressive, l’autore affronta in modo critico alcuni aspetti caratteristici del mondo editoriale di oggi, mettendone in luce il cinismo e altri vizi.

Con “Ogni riferimento è puramente casuale” potrebbe chiudersi il cerchio (ma non è detto), sulla parentesi aperta dal creatore del vice questore romano di stanza ad Aosta Rocco Schiavone, in merito a questa interessante e divertente analisi dell’attuale mondo editoriale.

Ma vediamo di cosa parlano questi racconti.

Chi provasse una punta di invidia nei confronti dello scrittore impegnato nella promozione assidua del proprio libro, coinvolto in un carosello di date in paesi dai nomi mai sentiti prima, costretto a passare notti insonni in alberghetti di periferia, sottoposto sempre alla stessa sfilza di domande da parte di lettori superficiali e distratti, può ricredersi con la veloce lettura di Lost in presentation.

Per non parlare della figura del critico letterario che, in Critica della ragione, esce triturato dalle logiche spietate di un mondo costretto da banali interessi economici a esaltare autori di scarso livello per crearne, grazie alla complicità di uffici stampa e direttori di giornali, fenomeni da best sellers.

ll Racconto andino porta alle estreme conseguenze la tendenza a spremere un autore di successo al di là della vita e della morte, con l’invenzione di una narrazione grottesca e fantasiosa che stigmatizza però allo stesso tempo dinamiche estremamente reali.

In E’ tardi ad esser presa di mira è la vanità dello scrittore che concentra tutta la sua vita e la sua opera nell’unica speranza di una prestigiosa pubblicazione. Post mortem.

Quello che Manzini delinea è un mondo fatto di schemi rigidi, legati a questioni di interesse, che a nessun imprevisto, neppure alla morte, è concesso interrompere. Un mondo fatto di tic, di comportamenti ripetuti nonostante l’evidente inutilità, un mondo di rapporti falsi basati sull’opportunismo e sull’utilitarismo. Un mondo di speranze vane.

A che serve, allora, tutto questo?

Una speranza c’è, per fortuna. Manzini, con il racconto La parete azzurra (chissà se intende citare La camera azzurra di Simenon), affida il potere salvifico della letteratura alle mani di un libraio, Amedeo Cicolella, che persegue contro tutti e contro ogni ripetuto fallimento il suo sogno di libreria finché non troverà la chiave giusta per farla funzionare.

La parete azzurra rappresenta una boccata di aria fresca in questa raccolta di racconti in cui il mondo dell’editoria e tutto il carrozzone che gli gira intorno non fanno certo una figura edificante.

“Gli antichi testi dicevano che il nord-ovest favorisce i viaggi e le amicizie. Dipinse la parete di viola e negli scaffali mise i libri di viaggi, le mappe, Chatwin, Terzani e On the road di Kerouac. Per non disdegnare l’amicizia, che serve sempre soprattutto in un’attività commerciale, mise tutto Steinbeck e in genere la narrativa che avesse a che fare col mare”.

Nell’allestimento della libreria di Amedeo Cicolella possiamo leggere tutto l’amore di Manzini per la letteratura oltre che scoprire, forse, il suo personale canone letterario.

Fra gli scaffali dedicati al matrimonio e alle relazioni sociali, oltre ai romanzi con profumi e spezie nel titolo, troviamo Madame Bovary e Anna Karenina, Al paradiso delle signore, La ragazza dello Sputnik e Tropico del Cancro.

“Le relazioni sociali non erano il suo forte. E infatti sbagliò completamente. Ci mise Stephen King, Bukowski e Céline”.

Nel reparto saggezza e buona forma fisica vanno a finire la Montagna incantata, Morti di salute di Boyle, i libri di Krakauer, Exit della Giménez-Bartlett, Open di Agassi. Per la saggezza tutti i gialli, da Simenon a Camilleri passando per Conan Doyle e Montalbàn.

E via dicendo, fino al finale che apre nuove possibilità.

La raccolta chiude con i due racconti Ringraziamenti e L’arringa finale, quest’ultimo un’amara riflessione sulle vane illusioni che talvolta gli scrittori regalano ai lettori più fragili e influenzabili.

(2 settembre 2019)

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