di Marco Mastrorilli
Dietro la semplicità di un racconto breve ambientato in Provenza di inizio secolo scorso, si cela una parabola universale: la vicenda di Elzéard Bouffier, un uomo umile che, con gesti silenziosi e costanti, riesce a trasformare un paesaggio arido e sterile in una foresta rigogliosa. Non c’è eroismo apparente, né clamore, ma soltanto la forza paziente di chi crede nel valore del tempo e nella capacità rigeneratrice della natura.
Questa è la storia narrata ne L’uomo che piantava gli alberi (pubblicato nel 1953) di Jean Giono, scrittore provenzale traumatizzato dagli orrori della Grande Guerra, trascende la dimensione di semplice favola per affermarsi come un testo fondamentale della letteratura ecocritica e dell’attivismo letterario.

Un’opera che diviene un inno alla resilienza, alla speranza e alla responsabilità individuale.
La grandezza, suggerisce l’autore, non risiede nei gesti eclatanti, bensì nella tenacia discreta di chi sa piantare semi destinati a germogliare nel futuro, anche quando restano invisibili agli occhi del mondo.
In un’epoca segnata da crisi ecologiche e da una diffusa percezione di smarrimento, il messaggio del libro appare quanto mai attuale: la trasformazione collettiva può nascere anche dal gesto ostinato di una sola persona, capace di ascoltare la natura e di restituirle equilibrio.
Questa lettura, tuttavia, non si esaurisce nella sua dimensione ecologica o etica, tanto da riuscire a divenire una pietra miliare dell’ecocritica.
Nel suo nuovissimo libro, Ecologia letteraria, Serenella Iovino che insegna presso la University of North Carolina ed è una delle voci più autorevoli nel panorama internazionale delle Environmental Humanities ha dedicato un intero capitolo a Giono, parlando della sua opera.
Iovino in Ecologia letteraria scrive: “il pragmatismo ambientale di Elzéard Bouffier sta proprio in questa sua uscita dal fatalismo e nella fiducia in una possibilità di intervenire sulla realtà e di configurarla secondo una dimensione sociale in cui è parte integrante lo sfondo ecologico.“
Tornando al libro L’uomo che piantava gli alberi, sebbene Giono stesso avesse rivelato che il personaggio centrale, il pastore Elzéard Bouffier, fosse immaginario, il suo unico scopo era ispirare l’amore per gli alberi e, in particolare, incoraggiare l’azione di piantumazione.
Attraverso l’analisi della sua opera, possiamo estrarre potenti elementi che celebrano la rigenerazione del paesaggio e il ruolo trasformativo dell’azione individuale.
La storia si apre con l’immagine di una Provenza spoglia e inospitale, descritta dal narratore come una “regione deserta,” “arida e incolore,” segnata da “desolazione senza pari“. Questo degrado ambientale si rifletteva nella vita umana, caratterizzata da un clima “eccessivamente rude,” “conflitti incessanti” e persino “epidemie di suicidi” e “casi frequenti di follia“. Il vento, un tempo “feroce e insopportabile,” contribuiva a logorare i nervi.
In questo contesto di assenza e disperazione, emerge la figura solitaria di Elzéard Bouffier, un pastore vedovo che anziché soccombere al dolore, egli incanala la sua tragedia personale in un gesto di guarigione.

Bouffier si dedica con metodica pazienza a una missione singolare: seminare la vita. Giono eleva l’azione del pastore a un vero e proprio atto di fede e rinnovamento.
Non a caso, il nome Elzéard significa “aiuto di Dio“, e l’uomo è descritto come una figura quasi divina, un atleta al servizio di Dio.
Il pastore agisce in modo disinteressato: non si preoccupa di chi possieda la terra, che suppone essere proprietà comune o di persone che non se ne curano. Il suo è un rifiuto dell’egoismo, del possesso e del conflitto, fattori che spezzano le connessioni essenziali tra esseri umani e terra.
Un elemento cruciale e affascinante della critica letteraria dell’opera risiede nell’uso dei numeri e del tempo, che costituiscono una sorta di filosofia dei numeri o la matematica poetica della piantagione, come la descrive Françoise Besson sulla rivista di ecocritica, Lagoonscape, edita dall’Università Cà Foscari.
Il libro di Giono è costellato di dati numerici che non sono casuali, ma servono a quantificare l’immensità del cambiamento prodotto da un’azione umile e solitaria. Leggendo il libro vediamo che il pastore Bouffier seleziona con cura a mano ed una ad una le ghiande, le conta “a decine”.
Giono arriva a stimare le ghiande piantate inizialmente addirittura 100.000, delle quali ne germogliano solo 20.000 e ne sopravvivono 10.000 divenendo querce rigogliose.
Più tardi, paragonando le sue diecimila querce a una “goccia d’acqua nell’oceano” rispetto al suo piano futuro, il pastore mostra la sua consapevolezza dell’impegno titanico.
Questa quantificazione culmina nella trasformazione sociale: il pastore, agendo da solo, crea una situazione nella quale emerge come dimostrano i numeri che da “una sola ghianda piantata da un solo uomo solitario” può rinascere una foresta.
Il concetto di tempo è manipolato sapientemente per sottolineare il potere costruttivo del gesto.
Il narratore inserisce indicazioni temporali precise (dal 1910 al 1947), menzionando le due Guerre Mondiali. Tuttavia, il tempo storico delle guerre e della distruzione occupa solo poche frasi nel testo, quasi a volerne minimizzare l’importanza di fronte al “tempo organico” della natura.
Questo aspetto fornisce un senso effimero alle vite umane e al contrario attribuisce un grande potere al mondo vegetale. Stefano Mancuso celebre botanico studioso della relazione tra intelligenza e il mondo verde, ci ricorda quanto le piante, seppur senza cervello sappiano adattarsi, vivere meglio e più a lungo di noi uomini, basti pensare che sono proprio le piante con miglia di anni di vita gli esseri più longevi del Pianeta.
Il tempo è un fattore importante nell’opera di Gion Oma anche nella nostra esistenza, mentre il narratore combatteva a Verdun, il pastore piantava pacificamente alberi. La calma del gesto del pastore, spesso associata all’avverbio “pacificamente“, si oppone all’agitazione e alla violenza della storia umana. La trasformazione del paesaggio non è immediata, ma rivela la forza della perseveranza: “Ci sono voluti solo otto anni perché l’intera campagna risplendesse di salute e prosperità“.
Il risultato del lavoro del pastore è una rinascita totale. La siccità si inverte, e l’acqua, simbolo vitale, torna a scorrere liberamente da una fontana.
Il narratore di questo libro stupendo, ritornando dalla guerra su queste colline, descrive il cambiamento: il vento feroce è ora “una brezza gentile”, e la terra desolata si è trasformata in una vera e propria terra promessa (terra di Canaan).
La presenza di un tiglio piantato da qualcun altro accanto a una fontana è un simbolo della risurrezione.
Giono anticipa qui scoperte ecologiche moderne; la riforestazione di Bouffier non solo cambia il clima, ma ristabilisce l’immunità del paesaggio (landscape immunity), un concetto scientifico che lega la biodiversità alla prevenzione delle malattie e alla protezione della salute umana.
Basta ricordare gli effetti del Forest bathing, che in Giappone chiamano Shinrin Yoku ha una sua sacralità tanto che il governo nipponico investe convinto che i benefit delle foreste fanno risparmiare soldi alla sanità pubblica e consentono di vivere meglio il popolo giapponese.
Il pastore Bouffier, con il suo buon senso, ha ripristinato l’habitat naturale scomparso ed ha anticipato di oltre mezzo secolo la filosofia del Forest bathing, tanto di moda oggi.
Sebbene ambientata in una regione specifica della Francia, la storia parla a tutto il mondo, incarnando il principio che Besson definisce: “la località è l’unico universale”.
Questo racconto ha ispirato un vero e proprio attivismo a livello globale. Ne è un fulgido esempio Wangari Maathai, Premio Nobel e fondatrice del Green Belt Movement in Kenya, che ha piantato milioni di alberi.
Maathai sottolinea come la saggezza indigena abbia sempre riconosciuto l’importanza degli alberi, come il fico, le cui radici profonde riportano l’acqua in superficie.
L’uomo che piantava gli alberi è una potente esortazione all’azione singola, anche apparentemente inutile, Giono ha sparso parole che, come le ghiande del pastore, hanno trasformato la consapevolezza, portando all’azione.
Il racconto offre un “ottimismo attivista,” che ci spinge a non soccombere alla disperazione, ma a creare una verità e un futuro che non sia apocalittico, dimostrando che “tutto è possibile con la volontà e la mano di un individuo”.
Bibliografia consultata e suggerita
Besson F., 2022.The Healing Mathematics of Life in a Gesture: Jean Giono’s The Man Who Planted Trees. Lagoonscape 2(2).269-294.
Giono J., 1987. L’uomo che piantava gli alberi. Salani ediz., 64 pp.
Iovino S., 2025. Ecologia letteraria. Edizioni ambiente, 334 pp.
Mastrorilli M., 2024. 5 motivi per leggere l’uomo che piantava gli alberi. Parco Regionale Oglio Sud.
Mastrorilli M., 2025. La capacità rigeneratrice delle foreste. Hemingway, ala scrittura naturalistica e il Forest Bathing. Terra Magazine 1:52-55.







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