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Stand-up comedy, un altro modo di fare letteratura

Dal buio alla luce, da gennaio a maggio, da risata a… risata. La seconda edizione di “Facci ridere (in 5 minuti)”, la stand-up comedy in salsa fiorentina si è tenuta ancora una volta al Caffè Letterario Le Murate, fulcro culturale di una città che fa dell’arte e della letteratura non solo la propria storia, ma pure il proprio presente.

La serata è stata vivace, energica, con i dieci comedian che si sono succeduti sul palco: Brunetto Magaldi, Eleonora Falchi, Massimiliano Lari/Raul Bulgherini, Alessandro Bindi/Claudio Di Filippo, Filippo Maria D’Andrea, Francesco Martalò, Luca Baglioni, Silvia Mazzocchi, Giulia Boscherini, Daniele Benussi/Francesco Magherini.

Mirko Tondi, scrittore, editor, insegnante di scrittura creativa

Nata da un’idea di Mirko Tondi la serata consente a esordienti e scrittori di vedere le loro opere prendere forma, consente alle parole scritte di acquisire una propria voce e arrivare dritte al pubblico. Perché si può ridere di qualcuno, si può ridere grazie a qualcuno ma non c’è cosa che rende più felici di ridere insieme a qualcuno.

Purtroppo, solo tre vincitori: Filippo Maria D’Andrea, con il suo Area 57, ha conquistato il pubblico (vero giudice della selezione) e il primo premio con una esibizione divertente e accattivante che gli è valsa anche il “premio interpretazione”. Il secondo gradino del podio se lo è aggiudicato Massimiliano Lari interpretando Dolcissimo, un testo di Raul Bulgherini, il terzo la coppia Alessandro Bindi, autore del testo L’ascensore, e Claudio Di Filippo, già vincitore della scorsa edizione, che si è cimentato nella performance artistica.

Abbiamo fatto un breve chiacchierata con loro, partendo dal mattatore della serata: Filippo Maria D’Andrea.

Abbiamo apprezzato la tua capacità recitativa, la tua interpretazione. Stand-up comedy significa principalmente monologo, significa risate, ma prima ancora significa empatia con il pubblico. Che emozioni hai provato sentendo l’apprezzamento del pubblico?

Devo dire, in tutta onestà, che era la prima volta che interpreto Area 57(023) leggendolo. È un monologo che ho scritto nel periodo romano e che ho affinato grazie alle tecniche apprese con Ubaldo. Vedi quando salgo sul palco ed entro in scena l’emozione è fortissima, quasi violenta, mi colpisce allo stomaco ed è solo attraverso la prima risata alla prima battuta che questa tensione si scioglie. Ed è lì che inizia tutto, ho l’attenzione del pubblico ed ora sta solo a me. Poi c’è la padronanza del testo, la memoria, la presenza scenica; credo che non ci sia testo più difficile da interpretare di un monologo comico.

Filippo Maria D’Andrea, attore di cinema e fiction, vincitore della serata.

Stare su un palcoscenico non è certo una novità, per te. Come attore ti sei formato e hai lavorato con Ubaldo Pantani, hai fatto teatro, ma anche cinema. Dove nasce l’interesse e la passione per la stand-up comedy?

la mia formazione pluriennale è attoriale cinematografica ed è in questo ambito che ho la possibilità di far emergere le mie migliori skills. Il primo monologo, non lo dimenticherò mai, era cinematografico e lo interpretai a Roma in un teatro Off, durante un concorso. Io contro 31 attori romani, fu una debacle. L’anno successivo ho partecipato di nuovo ma con monologhi comici scritti da me, massimo 5 minuti, pena la squalifica. Arrivai agli ottavi sconfitto con onore da Leonardo Zarra, ora mio grande amico, attore romano di talento cristallino del quale sentirete presto parlare. Lì è nata la mia voglia di scrivere e l’occasione di entrare nella batteria “tragicomica” di Ubaldo era imperdibile. Devo dire che ad Ubaldo mi lega un’amicizia trentennale quindi la mia soddisfazione è stata doppia.

Quale è, secondo la tua esperienza, la qualità più importante quando si interpreta un testo? Come si riesce davvero a tirar fuori l’anima di un testo e a trasmetterla agli altri? È una questione di tecnica o serve altro?

A mio modesto parere bisogna dire la verità o almeno ognuno la propria verità. Chiaro che è una verità rivista ed arrangiata per un testo comico ma tutto ciò che racconto è frutto di mie esperienze di vita personali. Appartengo ad una famiglia che da 3 generazioni lavora in mezzo alla gente tra alberghi e ristoranti, gli spunti sono moltissimi e devo dire che dopo il Covid la follia dilaga; non rimarrò mai a corto di repertorio, mettiamola così. Ed è proprio attraverso le esperienze autobiografiche che io riesco a mettere anima nei miei testi; non faccio altro che raccontare ciò che vedo e che vivo ogni giorno. Tecnica ce ne vuole tantissima e non è mai abbastanza, si impara ogni volta quel qualcosa in più. Ci vuole per esempio sintesi, less is more è un dogma. I testi comici hanno dei tempi, dei ritmi ben specifici ed una loro musicalità, cose dalle quali non si può prescindere. Grazie ed a presto ragazzi!

Non potevamo mancare di raccogliere anche le impressioni di Massimiliano Lari, la cui simpatia ha conquistato tutti.

Tu e Raul Bulgherini, l’autore del testo, vi conoscete, avete recitato assieme a teatro. Quanto è stato importante questo per interpretare al meglio il monologo? Quanto di lui e quanto di te è emerso dalla tua performance?

Con Raul abbiamo recitato per circa venti anni assieme, lui è il regista della compagnia il Grillo (compagnia teatrale principalmente di vernacolo) e io devo tutto a lui. È vero che avevo una grande passione per il teatro, ma grazie a Raul ho avuto modo di migliorare sempre più. Di lui è emersa l’ironia e la comicità per tutto, di me la voglia di fare qualcosa di divertente per il pubblico.

Quello che ha colpito, oltre alla comicità del monologo, è stata la tua interpretazione, l’autoironia… e anche la tua camicia con gli sbuffi. Che rapporto hai con il teatro, con il fare arte stando a contatto con le persone, col doversi confrontare con le parole e con i sentimenti?

La camicia con gli sbuffi voleva essere un omaggio a Gigi Proietti per il quale ho una grandissima stima per tutto quello che ha fatto, l’ho messa perché lui quando recitava le poesie la indossava, tutti qui. Io comunque sono stato per molti anni un grandissimo timido e stare davanti al pubblico mi emoziona molto. Poi nel teatro credo che la gente abbia bisogno di persone che li facciano ridere in maniera divertente. Per me il teatro non è perfezione, ma trasmissione, nel senso che è importante studiare il copione, ma a volte si rischia di recitare per se stessi; invece, l’attore deve trasmettere emozioni, parole, azioni, vita, perché così risulta vero nella finzione scenica. 

Premiazione della serata

Terzo classificato, ma non per questo meno divertente, è stato il monologo “L’ascensore” di Alessandro Bindi e interpretato da Claudio Di Filippo.

Purtroppo, Alessandro, non sei potuto essere presente alla serata, è stato più il dispiacere per aver dovuto lasciare che le tue parole venissero interpretate da Claudio o la soddisfazione per sapere che il tuo testo è stato apprezzato dal pubblico?

Nessun dispiacere, anzi. Vedendo il video di Claudio che leggeva il mio testo, ho capito il mio testo. È stata una rivelazione. Forse dovremmo sempre fare leggere le proprie opere ad altri, solo così si capisce quello che abbiamo scritto. È un po’ come quando noi ci si crede in un modo e gli altri ci vedono in un altro, caro Luigi – che per l’appunto ti chiami come Pirandello-, l’intenzione che Claudio metteva nell’interpretare il mio pezzo aveva la forza del buongustaio che assapora un piatto gourmet, mentre io sono il cuoco che salta tra una pentola e l’altra… non son cosa ho scritto… ma non lo sapevo neanche quando ho scritto “l’ascensore”. Claudio di Filippo sì.

Come è ti è nata l’idea di scrivere un testo per una stand-up comedy? Quale è il tuo rapporto con la scrittura?

“L’ascensore” l’ho scritto più come racconto umoristico. Poi si è dimostrato versatile e adatto a una serata comica e di stand up. Ora come ora, sto sperimentando la stand up comedy con il gruppo “Comici miei” che è una accogliente combriccola di buontemponi dove i più esperti condividono le loro conoscenze con i nuovi arrivati e tutti sono disposti ad ascoltare i monologhi degli altri: testi che in qualsiasi altro ambiente solleciterebbero un intervento sanitario. I miei nuovi pezzi di stand up sono un incrocio tra la voglia di sfottere la propria biografia, e una ricerca chimica della risata attraverso la manipolazione di parole e pause.

Anche per quest’anno è tutto… o forse no. Manca il pezzo forte. Potete leggere i racconti cliccando qui oppure aprire la versione ePub cliccando qui. Fateci sapere cosa ne pensate con i vostri commenti e seguiteci su FacebookTelegram e sul nostro canale Youtube.

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