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Lo conosco io il Belluca

La vita è un ergastolo
N. Kazantzakis, Zorba il greco

Liberamente ispirato dalla novella Il treno ha fischiato di Luigi Pirandello

immagine di copertina a cura di Rachele Nannini
di Tommaso Aramaico

Lo conosco io il Belluca

Non mi piacciono gli intellettuali, non mi piacciono quelli che credono di saperla lunga e pretendono di giudicare della vita altrui mantenendosi al sicuro nelle distanze siderali delle loro teorie. Non sopporto quelli che confondono pensiero e realtà e se ne vanno in giro per il mondo sicuri di sé solo perché in tasca si portano una teoria bella e confezionata, sempre pronti ad applicarla a quanto li circonda. Sono i peggiori, perché con la scusa di capire – e, fidatevi, non capiscono – si sentono assolti e della realtà, di quella vera e in carne e ossa, quella fatta di spigoli, ferite e dolore se ne lavano le mani, belli caldi nel brodo dei loro aridi ragionamenti preconfezionati.

Io conosco il Belluca. Non lo conosce il suo vicino di casa, il cervellone che ne va blaterando, convinto di poterne dedurre l’intera vita mettendo insieme i fatti con lo sputo delle sue sentenze. Si è forse mai preso la briga di ascoltare, di lasciare la parola al Belluca? O, col suo pizzetto mefistofelico, chiuso nel doppio petto, arrancando per le scale col bastone, si è accontentato di ghignare come chi crede di saperla lunga?

Dice di sapere del Belluca, di conoscerne le pene sofferte negli anni. Dice, tracotante, che la ragione del male del Belluca (tutti, in zona, ne sono al corrente) è naturalissimo. Lo dice come se avesse in tasca tutta la scienza dello spirito umano, come se le intenzioni e la vita stessa dello spirito seguissero le leggi della natura, come se l’animo umano fosse sottomesso a rigide leggi di causa effetto, come se l’agire fosse prevedibile per mezzo di un paio di regole degne d’una psicologia da strapazzo. Dimentica, chi discetta della vita e della sorte del Belluca, che in tutti (non in lui, a questo punto mi vien da sospettare) v’è un qualcosa di irriducibile che generalmente vien chiamato libertà. E se proprio si vuol chiamare in causa un sistema di regole, allora bisogna affrettarsi a dire che ogni essere umano, nel suo intimo, è mosso da un sistema di regole unico e irripetibile, dotato di una logica interna solo parzialmente sovrapponibile e paragonabile a quella di chiunque altro. Se quindi si ha la pretesa di far scienza dello spirito umano, beh, bisogna far attenzione a non confonderla con quella dei corpi naturali. Di naturalissimo, nell’animo umano, c’è ben poco.

Mansueto e sottomesso, così viene descritto il Belluca da questo vicino di casa che, questo è certo, con la testa abitava a distanze siderali. Era di certo metodico e paziente, vero – ma ingnorandone le vere intenzioni e i reali pensieri, il saputello non s’era mai veramente scomodato per parlarci o, anche, osservarlo con un pizzico di attenzione. Era troppo preso nei suoi pregiudizi e nelle anticipazioni da lui scambiate per interpretazioni e comprensioni della realtà. Oh, sì, le mansioni del Belluca erano di certo ripetitive e aride. E chi, del resto, reggerebbe una vita intera fatta solo di glaciale contabilità? Ma come può dire, questo fantomatico osservatore, che il Belluca fosse tutto preso da conti e registri? Come può ragionevolmente sostenere che l’animo suo, del Belluca, non fosse stato più ampio e ambizioso e che in lui non si annidasse un pensiero, anzi, un desiderio di trascendenza? Per questo il chiacchierone non ne comprendeva la pazienza e il viver metodico; per questo poteva misconoscerne il comportamento, tanto da rinvenirvi solo mansuetudine e sottomissione. Lui non conosceva il Belluca, io sì. Io mi sono intrattenuto col Belluca, non lui, perso nelle sue astrazioni, tanto da ridurre l’uomo concreto a una sua teoria, a idea incarnita nella sua mente alquanto ingenua.

Con fare sprezzante lo ha paragonato ad un vecchio somaro, con tanto di paraocchi. E non si rende conto di aver proiettato sul Belluca la sua stessa cecità. Lui che di nulla si meraviglia nella sua pretesa sapienza, reputandosi fine diagnosta dell’anima – discettava della famiglia del Belluca, della moglie, delle figlie, dei nipoti, della follia generale della sua casa e dei suoi continui impegni. È vero, per una intera giornata il Belluca ha fatto il matto, ma il nostro intelligentone, che voleva naturalissimamente renderne conto, ha mancato il tiro. Lui, al sicuro nella sua vita borghese fatta del giornale del mattino e della messa della domenica, lieto di una vita grigia e rispettabile, economicamente stabile, fiscalmente responsabile, moralmente irreprensibile. Lui che sapeva delle complicate condizioni del Beluca – non si vergogna, del resto, di fare l’elenco delle sue impellenze – non aveva però mai mosso un dito, accontentandosi delle sue teorie. So io, del Belluca, dei suoi sorrisi sprezzanti dopo essersi lasciato alle spalle il grande intellettuale che solo un attimo prima aveva salutato con rispetto.

Sì, è vero: il Belluca per un giorno intero, e anche più, ha dato di matto, facendo il verso al treno fischiante e straparlando delle mille mete del mondo. Ma anche qui la diagnosi fa acqua da tutte le parti: sbagliava nel pensare che il Belluca avesse per anni dimenticato l’esistenza stessa del mondo. Al contrario, miei cari, al contrario. La grandezza del mondo era pensiero fisso, per lui. Direi, anzi, che tutto il suo agire, negli anni, aveva riposato su questa profonda consapevolezza. Poi, io lo so e nessun altro, una sera, anzi, una notte, mentre tutti dormivano, il Belluca, piegato sui suoi registri segreti pieni di numeri, conti, colonne e riquadri, aveva infine realizzato. In gran segreto aveva aperto una lettera, ancora fresca di lacrime, e dopo averla letta non so quante volte, si era messo a far conti su conti. Tornavano tutte le volte. E quel tornar dei conti gli aveva tolto il sonno, catapultandolo in uno stato di euforia che, anche questo è vero, non aveva saputo controllare – ma non per le ragioni urlate ai quattro venti. Non era impazzito, non era alienato, meglio – era stato colto da una gaiezza di cui il Belluca stesso non aveva previsto i confini. Per questo ne era stato travolto.

Non date ascolto al vicino di casa. Non ne sa nulla. Non sa nulla del Belluca, né delle altre cose. Lo crede pazzo e degno di compassione – mentre il Belluca aveva finalmente individuato la crepa, il punto di fuga, la via per la libertà. Aveva rinunciato, il Belluca, a un pizzico di rispettabilità che altro non è se non un fugace e presto dimenticato cenno di assenso della società a chi sceglie di chiudersi in una cella. Aveva finalmente aperto gli occhi e visto con chiarezza, dal di fuori, la propria condizione.

Perché so tutte queste cose? I più attenti lo avranno compreso già da un po’.

Io sono Belluca, risorto dalle mie stesse ceneri. Per anni ho accettato la vita per come si era stretta intorno a me. Per anni non ho mollato. Per anni ho fatto buon viso a cattivo gioco. Per anni ho risparmiato e sono stato gentile, ossequioso, terribilmente metodico, scrupoloso e parsimonioso. Per anni ho lavorato sodo, ma non per mantener la famiglia – cui andava solo lo stretto necessario – bensì per poter lasciar tutto e tutti. Naturalissimamente, ossia per mia, unica, irripetibile, irriducibile natura, ho ritirato tutto il denaro messo da parte e (dopo averne letto la lettera che parlava di una improvvisa e sostanziosa eredità) invitato la mia amante a far le valigie. Non fischio più come quel giorno in cui ho dato di matto e non è vero, come va profetizzando il mio vicino di casa, che andrò a chieder scusa al capo-ufficio per poi riprendere le mie vecchie mansioni.

Sono su di un treno, uno vero e non nella mia testa, e il mio corpo asciutto, forgiato da un volontà ferrea, stringe una donna, anch’essa stanca di una vita che la soffocava. Qualcuno ci guarda, perplesso. Non me ne curo. Ho danaro a sufficienza. La mia ragione in fiamme illumina un cammino nuovo. Non cercatemi nella mente del mio vicino di casa, lì non mi troverete. Aprite piuttosto le finestre o uscite per strada, guardatevi intorno e allora, forse, mi troverete. Ma sarete in grado di uscire, così come io ho fatto?

2 Comments

  1. Ivana Daccò Ivana Daccò 8 Gennaio 2022

    “in tutti (non in lui, a questo punto mi vien da sospettare) v’è un qualcosa di irriducibile che generalmente vien chiamato libertà. …
    … Non cercatemi nella mente del mio vicino di casa, lì non mi troverete.
    Bello!

    • Redazione Offline Redazione Offline Post author | 8 Gennaio 2022

      Grazie Ivana. Il tentativo di rovesciare ruoli e piani del discorso era decisamente rischioso. Sono contento che tu lo abbia apprezzato. Un saluto.

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