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Chi ha paura dei classici?

di Marco Morselli

L’Italia è un paese in cui si scrive molto e si legge poco, diciamolo pure. Oramai sono più gli italiani che pubblicano rispetto a quelli che leggono. È un dato che dovrebbe farci riflettere, soprattutto sulla qualità di ciò che leggiamo. La letteratura contemporanea sia italiana che straniera non ha niente da invidiare a quella che l’ha preceduta, numerose sono le novità letterarie degne di nota e il mondo dell’editoria è sempre in fermento. Ma forse quell’immenso bagaglio di saggezza raccoltosi nel mondo dei classici che si è accumulato nel corso dei secoli meriterebbe una rispolverata e un posto migliore di un cantuccio nascosto della libreria.

In fondo non si tratta nemmeno di addentrarsi in un universo troppo sconosciuto, anche fossimo lettori neofiti. Qualcuno ha detto che i classici normalmente non si leggono, ma si rileggono. Anche quando un lettore vi si avvicina per la prima volta, la sensazione che avrà sarà comunque sempre quella di una rilettura, penserà di avere a che fare con una storia che in qualche modo conosce già, con personaggi di cui ha già sentito parlare. I classici sono già nella nostra memoria. Fanno già parte del nostro inconscio collettivo e individuale. Passiamo buona parte della nostra vita a nominarli, a citarli, a discuterne, talvolta senza averli mai letti. Eppure, se qualcuno ci vedesse con uno di quei libri in mano, alla domanda “stai leggendo…?” ci affretteremmo a rispondere che no, che lo stiamo “ri-leggendo”. Secondo alcune statistiche, in realtà, sono pochi i classici che onestamente potremmo dire di aver letto, e spesso quando ci viene chiesto se abbiamo letto questo o quel libro, mentiamo. La sola idea di ammettere di aver snobbato Guerra e Pace di Tolstoj o la Ricerca di Proust ci provocherebbe un imbarazzato prurito: la figura del Principe Andrej e le madeleine inzuppate nel tè fanno talmente parte della nostra cultura che sarebbe difficile confessare di non aver mai sfogliato quelle pagine. Nel caso qualcuno ci chiedesse i dettagli delle trame, potremmo sempre rispondere che li abbiamo letti tanti anni fa, che al momento, nello specifico, i particolari ci sfuggono. Ma abbiamo un’attenuante di cui non teniamo mai conto, ovvero che i classici sono talmente numerosi che non ci basterebbe un’intera vita per leggerli e metabolizzarli tutti. E poi cosa intendiamo per “classici”? A quale tipo di letteratura di quale luogo e quale tempo dovremmo fare riferimento? Ciò che è classico nella nostra cultura (italiana e occidentale), può non esserlo per un’altra. Per i giapponesi, ad esempio, Mishima e Kawabata sono classici, autori fondamentali per la formazione di ogni lettore. Eppure in occidente sono sconosciuti ai più, e restano scrittori di nicchia, talvolta anche un po’ sottovalutati perché distanti dalla nostra sensibilità. Molto più facilmente troveremmo Balzac o Dickens tra le mensole di un bibliofilo del Sol Levante. È difficile (e forse anche un po’ inutile?) arrivare ad una definizione universale di “classico”.

Cosa definisce un classico? Potremmo partire dal fatto che si ritiene che i classici siano letture fondamentali per la formazione di noi stessi, come lettori e come uomini. Sono i libri o gli autori che si pongono gli uni di seguito agli altri come in un’ideale catena di riflessioni e di riflettori sulla condizione umana. Ci sono davvero indispensabili per costruire un nostro personale sistema di idee e di valori che ci faccia comprendere meglio chi siamo? Molti sostengono di sì, ma c’è anche chi ritiene che certe letture non siano così importanti per renderci persone più mature e consapevoli. Forse è così. Fatto sta che non è un caso se il concetto di “classico” si sviluppa in pieno Umanesimo, quando l’uomo si ritrova al centro di un universo da dove riflette su se stesso, e grazie alla riscoperta di testi provenienti dalla civiltà greco-romana. Da Omero alla tragedia greca, fino a Virgilio, l’uomo del Quattrocento riconosce un valore che trascende il tempo e lo spazio, sia nella forma che nel contenuto, proprio a quegli autori che la letteratura medievale ha in parte scalzato, forse per il loro eccessivo antropocentrismo. Ma nonostante tutto i classici così individuati non rimangono cristallizzati nei limiti geografici e temporali dell’antichità che conosciamo, anzi ne nascono fin da subito di nuovi, che a loro volta sono fonte di ispirazione per altri e che passeranno alla storia della letteratura anch’essi come classici, e così ancora, nei secoli a venire. A Omero e Virgilio seguono Manzoni, Goethe, Hugo e Tolstoj, a Eschilo e Sofocle si aggiungono Shakespeare, Cechov e Beckett. Taluni si impongono fin da subito come classici, altri riceveranno tale riconoscimento solo in epoche successive, magari soltanto per fortunate circostanze. È labile e soggettivo, in parte, il confine che separa il testo o l’autore che non lascerà che una timida orma del proprio lavoro nell’universo letterario, da quello che invece ne sarà pilastro o muro portante. Non esistono regole se non quella di un consenso diffuso, una sorta di acclamazione critica e popolare, che possa definire un libro come “classico”. Oltretutto, l’abbiamo accennato poc’anzi, ciò che può essere classico per qualcuno, può non esserlo per qualcun altro. Pensiamo ai “nostri”. Se Dante e Manzoni hanno avuto la fortuna di essere oggetto di studio nei licei d’oltralpe, può un Fogazzaro, il cui nome è ormai sconosciuto anche a molti studenti italiani, non essere ritenuto un classico? Se Italo Calvino è stato tradotto in decine di lingue in tutto il mondo ed ha contribuito a formare lettori al di qua e al di là dell’oceano, può un Giovanni Verga, che non ha avuto tale fortuna, essere considerato da meno? Una risposta non c’è. Allora forse dovremmo lasciarci guidare un po’ dall’istinto un po’ dai consigli dei saggi che ci hanno preceduto.

Dunque, come si definiscono i classici? Italo Calvino in  Perché leggere i classici ce lo spiega in quattordici punti che qui elenchiamo:

  1. I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: “sto rileggendo…” e mai “sto leggendo…”;
  2. Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli;
  3. I classici sono libri che esercitano un’influenza particolare sia quanto s’impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale;
  4. D’un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima;
  5. D’un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura;
  6. Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire;
  7. I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume);
  8. Un classico è un’opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso;
  9. I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti;
  10. Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani;
  11. Il “tuo” classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui;
  12. Un classico è un libro che viene prima di altri classici; ma chi ha letto prima gli altri e poi legge quello, riconosce subito il suo posto nella genealogia;
  13. È classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno;
  14. È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona.

Se questa sintesi ha solleticato un po’ la vostra curiosità, allora andate in libreria e acquistatene una copia. Nell’introduzione, punto dopo punto, scoprirete perché è bene leggerli, e poi rileggerli. Dopodiché, una raccolta di saggi e articoli vi porterà per mano in un viaggio che va dall’Odissea a Cesare Pavese, vi consegnerà le chiavi di lettura che vi faranno percepire quegli autori e quei romanzi così vicini a voi da sentirvi parte di essi e da sentire loro parte di voi. Metterete addirittura in dubbio che i classici siano necessariamente lunghi, pesanti, complicati e noiosi. O almeno non più di tanta letteratura di genere che ha largo consumo nella nostra epoca e in cui magari vi tuffate senza troppi pensieri. Imparerete ad affrontarli con le motivazioni e le aspettative giuste. Li appoggerete sul comodino per farli decantare, e vi ci immergerete di volta in volta, prendendoli per mano come si fa con un amico, finché non entreranno nella vostra vita e ci resteranno, anche senza che ve ne accorgiate. E quando ripenserete a quelli che avete già letto, riderete per averne avuto paura, vi rammaricherete per non averli letti prima e avrete voglia di leggerli ancora, per scoprire significati sempre nuovi nascosti tra le righe di pagine ormai sgualcite.

Chi meglio di Calvino può insegnarci che non dobbiamo aver paura dei classici? Lui che, dopo averci condotto per mano nei suoi numerosi e variegati ragionamenti, chiosa forse nel modo migliore:

non si creda che i classici vanno letti perché ‘servono’ a qualcosa. La sola ragione che si può addurre è che leggere i classici è meglio che non leggere i classici”.

5 Comments

  1. Caterina Corucci Caterina Corucci 15 Dicembre 2018

    Molto interessante, molto vero. Dunque, tre classici che consiglieresti assolutamente (…e non ti dirò se li ho letti) ?

    • Marco Morselli Marco Morselli Post author | 16 Dicembre 2018

      Ciao Caterina, grazie per aver letto il mio articolo. Mi fa piacere che tu ne condivida il contenuto. Mi chiedi tre classici da consigliare… Beh, non è facile perché come ho scritto dovrei pescare in un oceano pieno di pesci, ma a costo di sembrare banale mi sentirei di dire: 1984 di G. Orwell, il Barone Rampante di I. Calvino e Anna Karenina di L. Tolstoj. Sono ovviamente titoli straconosciuti per i lettori navigati come immagino tu sia, ma mi sono reso conto che non sono così letti in verità. E li ritengo fondamentali per tutta una serie di ragioni che poi avrò modo di spiegare, di volta in volta, su questa rubrica.

      • Caterina Corucci Caterina Corucci 17 Dicembre 2018

        Grazie mille per la tua risposta, mi hai fatto venir voglia di ri-leggere uno dei due.

  2. Margherita Pace Margherita Pace 18 Dicembre 2018

    Bell’articolo.
    In relazione all’introduzione: in Italia oggi ci sono più scrittori che lettori perché, come in tanti altri ambiti, si pensa che non sia necessario conoscere la teoria per darsi alla pratica. Così come sono tutti medici, pur non avendo mai studiato medicina né comprendendo le basi della biologia, sono tutti allenatori di calcio pur non alzandosi mai dal divano, sotto tutti economisti pur avendo bisogno della calcolatrice per fare 2×3, e così via… siamo tutti scrittori, crediamo di esserlo, vaneggiamo di manoscritti nei cassetti, malignamo su ipotetici complotti nelle case editrici, salvo poi non aver letto neanche un classico, neanche un manuale di scrittura, non sapere chi siano i grandi scrittori di oggi e di ieri.

    • Marco Morselli Marco Morselli 20 Dicembre 2018

      Ciao Margherita, grazie per aver letto il mio articolo e per averne condiviso il contenuto. In effetti sono d’accordo con te, molti scrittori non leggono, e questo purtroppo si vede anche nello stile poco fluido o nelle idee confuse dietro a storie poco convincenti. A scuola mi hanno sempre insegnato che se volevo scrivere bene prima dovevo leggere, leggere molto. E questo non necessariamente per diventare uno scrittore, ma anche semplicemente per prendere una sufficienza a un tema. Era vero, così come se si vuole diventare fotografi non bastano una macchinetta e un corso, ma bisogna aver consumato e digerito tanta fotografia. Lo stesso per i musicisti. Oggigiorno tendiamo a perdere non solo il contatto con il passato, ma anche il rispetto verso tutto ciò che ci ha preceduto. Stiamo diventando troppo arroganti, e spesso l’arroganza è sintomo di ignoranza. L’ignoranza fa protervia, dicevano i latini. Concludo con una frase di Borges che mi hai riportato alla mente, e che mi pare sintetizzi perfettamente il senso dei nostri discorsi: “che altri si vantino delle pagine che hanno scritto, io sono orgoglioso di quelle che ho letto”.

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